Alzheimer: Un trauma che si ripete ogni giorno

Associazioni Alzheimer

La diagnosi di malattia di Alzheimer rappresenta un evento traumatico per il malato e per l’intera famiglia. Un trauma che si ripete ogni giorno.
La progressiva perdita dell’identità della persona malata, il bisogno costante di assistenza e aiuto nello svolgere le azioni abituali e l’isolamento sono solo alcuni dei problemi che i familiari si trovano ad affrontare quasi sempre da soli.

LA RICERCA

L’Associazione Alzheimer Piemonte di Torino sta portando avanti da qualche anno una ricerca condotta con la collaborazione di alcuni tirocinanti della Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino sul carico emotivo dei familiari, per individuare i fattori che influenzano la qualità della vita, conoscere meglio i bisogni e le difficoltà di accesso ai servizi e capire se il supporto psicologico, in particolare il gruppo di mutuo-aiuto, possa rappresentare un fattore protettivo per i familiari.
Ci siamo inoltre proposti di valutare la presenza di effetti di moderazione operati da variabili di ordine socio-ambientale, ovvero il supporto sociale percepito, il luogo di abitazione del malato e la partecipazione al gruppo di mutuo-aiuto.

“È incredibile lo sconvolgimento che provi quando una persona che conosci da sempre all’improvviso è sconosciuta ai tuoi occhi, sei tu ma non sei più tu.
Io faccio sempre più fatica a chiamarla mamma.”

IL CAMPIONE

L’indagine è stata svolta su un campione di 80 caregiver familiari (28% maschi e il 72% femmine) di pazienti con diagnosi di malattia di Alzheimer, che si sono rivolti all’Associazione dal 2014 ad oggi. Il 76% sono figli, il 21% coniugi e il 3% fratelli. I caregiver hanno un’età compresa tra i 26 anni e gli 82 (età media: 55,61), mentre quella dei malati oscilla tra 50 e 94 (media: 79,38).
Solo la metà dei familiari intervistati condivide la gestione del malato con qualcuno o si avvale di assistenti domiciliari.
Nel 34% dei casi il malato vive nella stessa casa del familiare, il 50% invece vive in una dimora diversa (la stessa abitazione in cui viveva prima di ammalarsi) e solo nel 16% dei casi alloggiano presso residenze assistenziali.
La quasi totalità dei familiari (91%) non ha mai usufruito del Centro Diurno, così come l’80% non ha mai benefi ciato del ricovero di sollievo.
Rispetto ai malati, gli anni di malattia oscillano tra 1 e 14 anni con una media di 5.
Nella maggior parte del campione le abilità strumentali ovvero la capacità di usare il telefono, di fare acquisti e gestire il denaro, di preparare il cibo, di governare la casa, di usare i mezzi di trasporto, di essere responsabili nell’uso dei farmaci, di essere capaci di maneggiare il denaro, sono abbastanza compromesse e questo richiede un livello abbastanza elevato di assistenza da parte del familiare.

STRUMENTI

Per la valutazione delle variabili di ordine socio-ambientale e i bisogni dei familiari è stata utilizzata un’intervista semi-strutturata. Le abilità strumentali dei malati sono state indagate tramite il questionario IADL (Lawton M.P. e Brody E.M, 1969) che fornisce una misura sul livello di assistenza richiesto dal malato nelle attività quotidiane. Per la valutazione del carico psico-emotivo è stato impiegato il “Caregiver Burden Inventory” (Novak M. e Guest C.,1989) un questionario a risposte multiple che consente di valutare diverse dimensioni dello stesso costrutto: oltre a fornire un punteggio totale, lo strumento quantifica anche diverse sottoscale, tra cui il carico oggettivo (restrizione in termini di tempo per il caregiver), il carico evolutivo (relativo al sentirsi escluso rispetto alle aspettative e alle opportunità di vita dei propri coetanei), il carico fisico (associato all’affaticamento e ai problemi fisici derivanti dal compito di assistenza), il carico sociale (percezione di un conflitto interiore di ruolo in ambito familiare o lavorativo) e infine il carico emotivo (associato ai sentimenti di vergogna e imbarazzo provati nei confronti dei comportamenti imprevedibili e bizzarri del paziente).

La malattia di Alzheimer è una malattia cronico-degenerativa caratterizzata da una lenta e progressiva degenerazione neuronale che compromette le capacità cognitive e le abilità funzionali della persona.
Questa patologia, altamente invalidante, rappresenta il 60% di tutte le demenze, e la sua prevalenza è in continuo aumento. In Italia, secondo il recente European Carers’ Report (2018), si stima che i malati siano 1.241.000, nella maggior parte dei casi donne (73,9%), tra i 75 e gli 84 anni (49,1%).
Si tratta di una delle più significative “emergenze” che i sistemi socio-sanitari si trovano ad affrontare da alcuni anni per l’impatto che ha sui servizi assistenziali e sulle famiglie.
La principale fonte di supporto assistenziale proviene dalla famiglia, che si fa carico dell’assistenza mettendo a rischio anche la propria salute psico-fisica.
Quasi la metà dei malati infatti vive in casa con i familiari (46,4%) o con assistenti domiciliari (28,7%), mentre sono pochi coloro che alloggiano presso residenze assistenziali (12,1%).
Emerge inoltre un preciso profilo dei caregiver: in Italia nella maggior parte dei casi (64,8%) è il figlio o la figlia a prendersi cura della persona malata. La maggior parte sono donne (80,3%).

Carico fisico e psicologico nei familiari dei malati di Alzheimer

RISULTATI

Dai primi risultati emerge che i familiari presentano un carico (burden) fisico e psicologico molto elevato (media: 43,50). I punteggi più alti si sono riscontrati nel carico oggettivo, evolutivo e fisico. Le sottoscale che misurano il carico ggettivo, evolutivo e fisico sono influenzate negativamente dal grado di dipendenza del malato e dagli anni di malattia, mentre l’aspetto sociale ed emotivo non è in relazione alla gravità o al grado di dipendenza del malato.

Rispetto alla composizione del campione si evidenzia che non ci sono differenze significative tra maschi e femmine nella percezione del carico oggettivo ed evolutivo, mentre nelle sottoscale fisico, sociale ed emotivo i caregiver donna hanno un punteggio più elevato.
Rispetto al grado di parentela con i malati, i coniugi riportano un punteggio più alto dei figli nella percezione del carico evolutivo, sociale ed emotivo.
Per quanto riguarda l’effetto di moderazione del luogo di abitazione del malato, sembra che i caregiver che curano il proprio caro a casa mostrino livelli di burden più elevati, sia per quanto riguarda il punteggio totale, sia in particolare per le sottoscale: evolutivo, sociale ed emotivo.
Analogamente sembra che il supporto sociale percepito e l’aiuto di un’assistente domiciliare attenui gli effetti del burden, soprattutto nella dimensione evolutiva, fisica e sociale.
Percepire che la propria famiglia è disponibile ad aiutare o sapere che si può condividere la responsabilità di cura con un’assistente domiciliare permette di investire nella propria vita e sentirsi meno affaticati.
Anche la partecipazione ad un gruppo di mutuo-aiuto può svolgere un importante ruolo di moderazione sul carico emotivo. Confrontando i punteggi del Caregiver Burden Inventory prima e dopo 6 mesi dalla conclusione del gruppo è emersa una diminuzione del carico soprattutto nelle sottoscale evolutiva, fisica, sociale ed emotiva.
Inoltre i familiari hanno anche espresso alcuni bisogni che possiamo riassumere così:

  • bisogno di supporto economico (la delega del compito assistenziale presuppone un grosso investimento economico a carico delle famiglie, fattore che spesso ritarda l’attivazione di supporti idonei e preclude l’accesso alle strutture residenziali);
  • bisogno informativo e di comunicazione (maggiori informazioni sulla malattia e sulla gestione della stessa nella vita quotidiana; accesso più semplice ai servizi e supporto per gestire gli aspetti burocratici; maggiore comunicazione tra i servizi preposti alla diagnosi)
  • bisogno di supporto emotivo e sociale (uno spazio di ascolto per il malato e in generale spazi che prevedano attività per i malati, come incontri o uscite mediate da volontari, consentendo ai familiari di avere spazi per sé e ai malati di continuare a fare esperienze piacevoli in un contesto sociale “normale”; spazi di confronto per i familiari; una linea dedicata per avere informazioni in caso di emergenza, per avere aiuto e consigli in caso di situazioni problematiche o di crisi);
  • bisogno di servizi a domicilio (per far fronte a necessità di ordine pratico (es: parrucchiere) ma anche visite specialistiche qualora la situazione di malattia influisca sulla deambulazione autonoma).

“Io sono sempre stata molto timida, qui mi sono trovata a mio agio, mi sento parte del gruppo e mi sono sentita aiutata.
Insieme ci siamo dati una spinta!
Credo che nelle difficoltà occorra trovare le parti sane che ancora ci sono e danno la forza di combattere”.

CONCLUSIONI

I risultati di questa ricerca confermano che l’impatto della demenza sulla famiglia del malato è pesante sia sul piano economico sia su quello emotivo. Ogni giorno le richieste che arrivano allo sportello dell’Associazione Alzheimer Piemonte confermano che i familiari vivono ancora troppo nell’isolamento e nella poca informazione. La maggior parte dei familiari richiede informazioni su come affrontare e convivere con la malattia nella vita quotidiana e sui servizi disponibili sul territorio. L’accompagnamento nell’iter diagnostico e assistenziale e un adeguato supporto informativo sugli aspetti legali ed economici, oltre che sui diritti esigibili, è analogamente un obiettivo prioritario.
Un’altra conferma ricevuta dalla presente ricerca è l’importanza dei servizi a domicilio; l’Asssociazione consente infatti ai propri soci di poter far richiesta per una delle seguenti attività domiciliari: l’OSS a domicilio, dove i familiari possono beneficiare di un’assistenza qualificata alla persona malata e anche di preziosi consigli su come gestire eventuali comportamenti problematici e l’igiene personale oppure la presenza attiva, in cui la persona malata viene stimolata con attività mirate (es. arte terapia, letture ecc…), volte al mantenimento delle capacità residue.
Risulta altresì importante continuare ad offrire ai familiari e ai malati (nelle prime fasi) il supporto psicologico adeguato che aiuti a gestire l’enorme carico emotivo-affettivo che questa malattia comporta, perché la qualità della vita del paziente dipende in gran parte da quella di coloro che si prendono cura di lui.
Il gruppo di mutuo-aiuto è un servizio attivo presso l’Associazione da molti anni con l’obiettivo di aiutare i familiari a mettere in parole la propria sofferenza e le difficoltà relazionali conseguenti alla confusione generata dalla malattia di Alzheimer e individuare possibili strategie di contenimento e mantenimento della propria autonomia personale.

ALZHEIMER PIEMONTE

È un associazione di volontariato Onlus, presente sul territorio Piemontese dal 1998, a sostegno degli ammalati di demenza e delle loro famiglie.
Stimola e promuove la ricerca, sostiene e aiuta le famiglie degli ammalati con corretta informazione, consulenza sociale, previdenziale, legale, psicologica, ne tutela i diritti e si pone come punto di riferimento per tutte le figure professionali che si occupano della malattia.

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Marialuisa Passarelli, laureata in Psicologia, e Gisella Riva, psicologa Associazione Alzheimer Piemonte