Falsi miti e scelte alimentari

tavola da apparecchiare

Quanto influiscono le “leggende metropolitane” sulle nostre scelte alimentari e sul nostro stile di vita?

È il tema della conferenza che si terrà giovedì 11 aprile – dalle ore 18.00 alle 19.30 presso la saletta conferenze della farmacia comunale 45 in via Scalenghe 4 (quasi angolo via Monginevro) a Torino.

Per una anticipazione dell’argomento, pubblichiamo l’articolo della relatrice, la dottoressa Gigliola Braga, biologa nutrizionista.

Falsi miti e scelte alimentari

La facile comunicazione che contraddistingue il nostro tempo a volte porta alla diffusione di informazioni non sempre attendibili, se non addirittura fuorvianti. Vediamo alcune.

Esistono alcuni oli più grassi di altri

Molti consumatori sono convinti che gli oli di semi siano più leggeri degli oli di oliva, ma non è vero. Il contenuto di materia grassa è praticamente identico tra tutti gli oli, che però differiscono enormemente come contenuto nutrizionale e come valore biologico. Il migliore è l’olio extra vergine d’oliva.

Gli oli di semi sono i più adatti alla cottura

Si tratta di grassi facilmente alterabili al calore e quindi potenzialmente pericolosi perché possono modificare la loro struttura nella forma trans che nuoce alla salute. Il più stabile e quindi migliore è l’olio d’oliva.

Il glutine fa male

Il glutine si forma nell’impasto dell’acqua con la farina di alcuni cereali. Non tutti abbiamo la stessa reazione a questa sostanza che nella maggior parte dei casi non provoca alcun disturbo. Ci sono però due tipi di persone che hanno problemi con il glutine. Il primo gruppo è rappresentato dai celiaci (all’incirca l’1% della popolazione) che hanno una vera e propria intolleranza a questa sostanza di cui non sopportano la benché minima presenza nella dieta. Devono quindi assolutamente evitarla per scongiurare la complessa reazione immunologica scatenata dal glutine nel loro intestino tenue che subisce gravissimi danni, compromettendone la funzionalità. Il secondo gruppo invece manifesta una sensibilità al glutine con sintomi più lievi della celiachia (gonfiore addominale, diarrea, colite, flatulenza, afte orali, mal di testa, malessere generale, malumore). Queste persone presentano pochi marcatori clinici specifici, ma sembrano stare meglio quando consumano prodotti privi di glutine. Alla base di questa sensibilità potrebbe esserci non tanto un’intolleranza al glutine quanto piuttosto un’infiammazione al rivestimento intestinale che subisce una crescente perdita di impermeabilità. Tali individui diventano quindi più sensibili a un’ampia varietà di insulti immunologici da parte di qualunque sostanza produttrice di antigeni (alimentare o chimica) entri nel circolo ematico, che di norma sarebbe protetto da un intestino sano. In particolare, la perdita di impermeabilità è mediata da alcuni omoni noti con il nome di leucotrieni che derivano dall’acido arachidonico (AA). Il rimedio più efficace per migliorare la sensibilità al glutine è diminuire l’infiammazione intestinale limitando i cibi ricchi di AA (grasso delle carni rosse, tuorlo, frattaglie) e gli alimenti che inducono l’organismo a produrlo (olio di semi, grassi idrogenati, eccesso di carboidrati), aumentando, nel contempo, quelli che “spengono” questa infiammazione (omega-3, proteine magre, avena integrale, olio di borragine e di ribes nero).

I legumi sostituiscono le carni per l’apporto proteico

Le fonti proteiche animali e vegetali hanno un potere nutritivo diverso: le proteine animali si definiscono nobili o complete perché contengono tutti gli aminoacidi essenziali, quindi indispensabili, in quantitativi e rapporti equilibrati; le proteine vegetali invece sono povere o carenti di alcuni aminoacidi essenziali. Pertanto, queste ultime devono essere abbinate in modo sapiente ad altre proteine per assicurare l’apporto necessario a una buona alimentazione. Infatti, se la dieta è carente di un aminoacido essenziale, in questo caso chiamato limitante, alcune sintesi proteiche non possono avvenire. Un’alimentazione si può definire completa quando comprende tutto lo spettro dei nutrienti essenziali garantiti in questo caso dalle fonti animali e solo parzialmente da quelle vegetali. Pertanto, non è corretto paragonare i legumi alle carni, anche perché bisogna tenere conto della ulteriore ridotta assimilabilità delle proteine vegetali (è circa il 30% di quelle ingerite) il cui assorbimento viene ostacolato dalla presenza di numerose fibre.

Il latte fa male

C’è molta discussione nel mondo scientifico che si trova discorde su questo argomento: alcuni studi dimostrano che il latte sembra proteggere dai tumori all’intestino, altri che i formaggi sembrano aumentarlo; certe ricerche affermano che previene l’osteoporosi, altre che la provoca; ecc. In ogni caso, non è probante e neppure scientifico sostenere che probabilmente il latte non va utilizzato dagli adulti perché, a parte l’uomo, nessun animale usa questo alimento dopo l’infanzia: l’uomo adopera tantissimi alimenti che gli altri animali ignorano e inoltre è assolutamente azzardato e superficiale comparare sistemi digestivi e metabolici tanto diversi tra loro. Alcuni ricercatori fanno notare che nel latte e nei latticini ci sono le lattoalbumine che vengono associate al cancro alla mammella perché le cellule cancerose utilizzano un fattore di crescita innalzato proprio dalle lattoalbumine. Tuttavia, nei malati di tumore non ci sono livelli più alti di questo fattore di crescita e altri studi hanno dimostrato un ruolo protettivo del latte proprio nei confronti di questo tipo di tumore. Devono fare attenzione invece le persone che con il consumo di latte manifestano problemi (diarrea, gonfiori addominali, nausee, mal di testa, spossatezza ecc.) causati probabilmente da un’intolleranza al lattosio provocata dalla mancanza dell’enzima necessario alla sua digestione. In questi casi è necessario ridurre o escludere il consumo di latte nella propria alimentazione, oppure utilizzare un prodotto senza lattosio. L’allergia alle proteine del latte invece è molto diffusa nei primi anni di vita, mentre è presente solo in una piccola parte della popolazione adulta (0,5%). Tenendo conto della mancanza di dati scientifici inoppugnabili, le persone che non presentano problemi evidenti nell’utilizzo del latte, potrebbero consumarlo senza esagerazioni. L’idea di eliminare il latte dall’alimentazione infantile va invece ben ponderata con il proprio pediatra per evitare di privare i bambini e gli adolescenti della più significativa fonte di galattosio, uno zucchero molto importante per la costituzione delle guaine mieliniche che avvolgono i nervi.