Un microbiota da ultracentenario

di Ombretta Rubicondo

Negli ultimi 54 anni il Bifidobacterium Longum BB536 é stato uno dei ceppi probiotici più studiati dagli scienziati, più precisamente da quando, nel lontano 1969, venne isolato per la prima volta dall’intestino di un neonato allattato al seno.

Si tratta di un membro fondamentale del microbiota intestinale e svolge un ruolo importantissimo per garantire il benessere e la salute dell’intestino. Oltre a prevenire la proliferazione di batteri dannosi, tra le sue funzioni principali si annovera la modulazione del sistema immunitario attraverso la sintesi di sostanze in grado di stimolare la formazione di cellule immunitarie. Di conseguenza, ciò consente la distinzione tra batteri innocui e dannosi. 

È inoltre capace di contribuire alla digestione di carboidrati complessi e fibre, agevolando l’assimilazione dei nutrienti, e alla produzione di vitamina k, fondamentale nel mantenimento delle ossa in salute e nel processo di sintesi della protrombina e di altri fattori di coagulazione del sangue. E ancora, assume una particolare importanza nel trattamento delle problematiche correlate alla sindrome del colon irritabile, in quanto agisce su sintomi quali stitichezza e diarrea regolarizzando la motilitá intestinale e riducendo lo stato infiammatorio dell’intestino.

 

In che modo il microbiota intestinale incide sullo stato infiammatorio dell’organismo? E perché negli ultimi anni di ricerca i termini “Bifidobacterium Longum” e “longevitá” sono stati spesso associati? 

La disbiosi intestinale è una condizione di squilibrio tra i microrganismi simbionti che vivono nell’organismo, comunemente causata da stress psico-fisico prolungato, un’alimentazione scorretta, l’uso smodato di antibiotici e l’avanzamento dell’etá, nonchè la presenza di patologie croniche. L’aumentata proliferazione dei patobionti a scapito degli altri batteri e il suo protrarsi nel tempo determina l’incremento della produzione di radicali liberi, favorendo uno stato di infiammazione a livello sistemico. In tal modo vengono poste le basi per l’insorgenza di patologie croniche comuni quali malattie infiammatorie intestinali, sindrome del colon irritabile, diabete di tipo 2 e patologie autoimmuni, ma anche per un processo di invecchiamento cellulare accelerato.

Negli anni, diversi gruppi di ricerca hanno iniziato a studiare la correlazione tra il buon funzionamento del microbiota intestinale e la longevitá, analizzando diverse categorie di persone e suddividendole per anazianitá: ottuagenari/nonagenari, centenari e ultracentenari. 

La longevitá non si acquisisce attraverso misteriosi rituali magici o cercando la fonte dell’eterna giovinezza, ma è determinata da una combinazione di variabili che dipendono dalla genetica, dallo stile di vita e da fattori ambientali e socio-culturali. Ciò che distingue i soggetti più longevi, valutando un range d’etá compreso tra i 22 e i 109 anni in diverse aree geografiche, è la presenza di una maggior diversitá di specie batteriche nel microbiota intestinale con un notevole incremento di simbionti benefici, tra i quali si annovera il sopracitato Bifidobacterium Longum. Il loro rapporto sinergico rappresenta uno dei segreti della longevitá, specie batteriche diverse e non intercambiabili che collaborano insieme al mantenimento in salute dell’intestino, riducendo l’infiammazione. Tutti questi fattori, nel loro complesso, ci consentono di aspirare a  “invecchiare bene”.

Ciò non significa che per vivere una vita longeva si debba assumere Bifidobacterium Longum tutti i giorni. Queste ricerche, piuttosto, possono diventare uno spunto di riflessione per capire che la vera ricchezza in termini di salute potrebbe essere già dentro noi. D’altro canto, tali studi possono condurre a una maggior consapevolezza sull’uso corretto di probiotici specifici per ogni situazione e all’abbattimento degli stereotipi culturali che ci fanno credere che vivere in salute sia solo questione di geni e fortuna e non il risultato di scelte consapevoli.