Storie di (stra)ordinaria dislessia

dislessia

di Martina Carosio

Cosa accomuna tutti coloro che si sentono diversi

Io credo che il grande problema alla base della diversità, intesa in senso lato come sensazione di divergenza rispetto a un modello diffuso, sia essenzialmente riconducibile a una questione di comunicazioneChi si sente diverso fatica a esprimere a parole, dunque a rendere comprensibile, ciò che sente, ciò che prova, ciò che vive. Spesso la diversità ci fa sentire soli e forse per questo motivo ci spaventa tanto. 

Comunicare, invece, consente di mettere in comune con gli altri qualcosa. Solo dopo aver demolito le barriere, e una volta raccolte attorno a sé altre persone disposte ad ascoltare, la diversità può trasformarsi in un punto di forza. 

Con questo spirito, l’Associazione Italiana Dislessia ha promosso la sesta edizione della Settimana a Nazionale della Dislessia, che quest’anno è stata celebrata dal 4 al 10 ottobre. L’iniziativa mira a promuovere il diritto delle persone dislessiche a realizzarsi pienamente sotto il profilo individuale, sociale e professionale ma, soprattutto, a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. Perché di dislessia, oggi, si parla ancora troppo poco. 

La dislessia si configura come un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) di origine neurobiologica, caratterizzato da difficoltà nella lettura e nella decodifica del testo, in un contesto in cui il livello scolastico globale e lo sviluppo intellettivo del soggetto sono nella norma. La condizione del dislessico si colloca nel più ampio contesto dei DSA, di cui fanno parte altri disturbi quali disgrafia, disortografia, disturbo specifico della compitazione e discalculia. 

Tutto bene fin qui, ma occorre riconoscere che una definizione simile delinea un approccio incompleto alla questione, riflesso di una società che considera ancora la dislessia come l’incapacità, da parte di un soggetto, di raggiungere un certo livello prefissato. Se da un lato dunque occorre tener nota degli enormi passi avanti nella diagnosi di tali disturbi, dall’altro la strada da percorrere è ancora impervia, soprattutto per quanto riguarda l’adozione di modalità di apprendimento più inclusive

Per quale motivo fatichiamo così tanto a modificare il nostro approccio a tali tematiche?

Fino a qualche decennio fa, la dislessia era un disturbo pressoché sconosciuto: nessuno riusciva a comprendere cosa accadesse nella testa di un bambino dislessico quando si approcciava alla pagina scritta. La scelta più semplice era quella di classificare la sua difficoltà come semplice svogliatezza. Ovviamente, tale situazione era destinata a peggiorare nel corso degli anni perché quel bambino, divenuto adulto, aveva perso gradualmente la volontà di comunicare le proprie difficoltà arrendendosi al silenzio. Nel tempo, questa triste parabola è stata percorsa da milioni di studenti, seppur con qualche eccezione: Daniel Britton, per esempio, ha scelto di non cedere il passo all’incomunicabilità. 

Daniel scopre di essere affetto da dislessia durante il suo ultimo anno alla London School of Communications, dopo aver trascorso l’intera infanzia all’insegna del pregiudizio e dello svilimento. Pur tentando di raccontare ai suoi compagni di corso le dinamiche del suo disturbo, Daniel si rende conto che chi lo circonda non riesce, seppur con buona volontà, a comprendere davvero le sue parole. Perciò, una volta diventato designer, Britton ha chiaro il proprio obiettivo: far provare al mondo intero il senso di frustrazione che una persona dislessica prova quando tenta di leggere. 

Daniel realizza un nuovo font grafico e lo nomina Dyslexic Typeface: questo è il suo modo di mostrare fisicamente al mondo cosa vedono normalmente i suoi occhi. Il carattere riproduce fedelmente la sensazione di leggere come un dislessico, creando empatia e comprensione verso il problema.

“Con questo font ho voluto rendere ogni lettera quasi illeggibile, rallentando l’esperienza di lettura degli utenti alla velocità di una persona dislessica” ha dichiarato Britton in un’intervista. “Come sempre, solo una volta che un problema è stato compreso appieno può essere risolto: il mio obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica al fine di migliorare le condizioni di apprendimento per gli studenti dislessici e farli eccellere allo stesso modo di ogni altra persona.”

Oggi Daniel Britton sta continuando a lavorare per rendere Dyslexic Typeface un font scaricabile gratuitamente da tutti. Un tentativo concreto, il suo, per rendere le storie di dislessia sempre meno ordinarie, sempre più straordinarie.

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