di Paola Difino
Si parla spesso di solitudine, ma non sempre è facile comprenderne davvero il significato. Per questo, è utile provare a definirla.
La solitudine è uno stato emotivo soggettivo e negativo, in cui la persona si sente isolata e priva di supporto, anche se non è oggettivamente sola. È una condizione che nasce dal divario tra ciò che ci si aspetta dalle proprie relazioni sociali e ciò che si sperimenta realmente. Quando le relazioni non rispecchiano i bisogni affettivi e comunicativi della persona, può emergere un senso di vuoto e disconnessione. È importante distinguere la solitudine dall’isolamento sociale: mentre la prima riguarda una percezione soggettiva, il secondo è la concreta assenza di legami sociali e di occasioni di interazione.
Tra le persone più vulnerabili a entrambe queste condizioni vi sono gli anziani, spesso esposti a eventi e cambiamenti di vita che favoriscono il rischio di isolamento: pensionamento, lutti, problemi di salute fisica o psicologica, difficoltà motorie, perdita di relazioni significative, trasformazioni nell’ambiente in cui vivono. Le cause e le forme della solitudine nella terza età sono molteplici e diverse da individuo a individuo, influenzate anche da fattori personali come il genere, la personalità e la situazione socioeconomica. Un ulteriore elemento di rischio è rappresentato dall’ageismo: quell’insieme di stereotipi, pregiudizi e atteggiamenti negativi verso la vecchiaia, spesso interiorizzati dagli stessi anziani. Questa visione riduttiva dell’età avanzata come fase di declino inevitabile può contribuire a rafforzare l’isolamento emotivo e sociale.
La solitudine è un ostacolo significativo al benessere. Già negli anni ’40 e ’50 gli studi la indicavano come fonte di stress per le persone anziane, paragonabile alle malattie fisiche legate all’invecchiamento. Le ricerche più recenti hanno superato questa visione, evidenziando come la solitudine possa colpire in ogni fase della vita, con effetti negativi sul benessere psicologico e fisico a prescindere dall’età. Oltre agli anziani, altri gruppi particolarmente esposti al rischio di solitudine sono i giovani tra i 16 e i 24 anni, le donne, le persone single o vedove, chi convive con disturbi mentali, chi ha poca fiducia negli altri o relazioni deboli con il vicinato.
Solitudine e salute: un legame da non sottovalutare
La solitudine e l’isolamento sociale hanno effetti dannosi sulla salute paragonabili a quelli del fumo e dell’obesità, tanto che oggi sono considerati una vera e propria priorità di salute pubblica a livello globale. Numerosi studi dimostrano che la solitudine è associata a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari, a un indebolimento del sistema immunitario e a una maggiore probabilità di sviluppare fragilità fisica, dipendenza e mortalità precoce. Sul piano psicologico, può contribuire a disturbi come ansia, depressione, psicosi e a una generale diminuzione del benessere percepito.
Quando il senso di solitudine diventa profondo e persistente, può compromettere anche le funzioni cognitive, ridurre la fiducia negli altri e accrescere la sensibilità verso stimoli sociali negativi. Sempre più ricerche, infatti, indicano la solitudine come uno dei fattori di rischio nello sviluppo di disturbi neurocognitivi, come la demenza. Inoltre, è stato riscontrato un legame tra solitudine e una maggiore probabilità di soffrire di asma, emicrania, osteoartrosi, artrite reumatoide, ipertensione, disturbi gastrointestinali, mal di schiena e problemi del sonno.
Per prevenire l’isolamento sociale, soprattutto negli anziani, è fondamentale l’attenzione e il coinvolgimento delle persone a loro vicine. Alcuni accorgimenti possono fare la differenza:
- Frequentare un Centro Anziani
Partecipare alla vita di un centro anziani aiuta a creare e mantenere legami sociali. Condividere esperienze simili con coetanei favorisce l’empatia, il sostegno reciproco e un senso di appartenenza. Può diventare un appuntamento piacevole e rassicurante, che spezza la routine e allontana i pensieri negativi. - Incoraggiare le uscite quotidiane
Piccole abitudini come andare a comprare il pane o il giornale possono trasformarsi in occasioni preziose per incontrare altre persone e mantenere un minimo di interazione sociale, evitando così il rischio di chiusura e isolamento. - Favorire le visite di parenti e amici
Il contatto diretto con le persone care è uno dei modi più efficaci per far sentire l’anziano coinvolto, amato e parte attiva nella vita della famiglia. Anche brevi visite possono avere un impatto molto positivo. - Garantire una presenza in casa, anche solo per poche ore al giorno
La presenza di una persona fidata, magari un assistente familiare, non solo offre un supporto pratico nelle attività quotidiane (igiene, pasti, pulizie), ma può diventare un punto di riferimento affettivo e relazionale. Insieme, si può costruire una nuova routine che valorizzi le capacità dell’anziano e lo faccia sentire utile e coinvolto nella cura di sé e dell’ambiente domestico.
Oggi, nell’ambito della sanità pubblica e delle politiche sociali, è diventato fondamentale agire in modo mirato per contrastare la solitudine e promuovere occasioni di incontro, relazione e connessione tra le persone. È importante proporre interventi adeguati alle diverse fasce d’età, perché – come già accennato – sebbene la solitudine sia spesso associata alla popolazione anziana, in realtà coinvolge in misura crescente anche i più giovani, che tendono a isolarsi sempre più frequentemente.
Tra gli obiettivi delineati dall’Agenda 2020-2030 per la promozione di un invecchiamento sano e attivo, una delle priorità è rappresentata dalla lotta all’ageismo, ovvero al pregiudizio legato all’età avanzata. Campagne di sensibilizzazione, iniziative di volontariato, centri di aggregazione sociale e altre forme di partecipazione attiva possono contribuire in modo significativo a contrastare questi stereotipi e a promuovere l’inclusione sociale delle persone anziane, restituendo loro un ruolo centrale nella comunità.
Anche i servizi socio-assistenziali sono chiamati a fare la loro parte. È importante che i professionisti del settore – assistenti sociali, operatori sanitari, educatori – dispongano di strumenti adeguati per rilevare e monitorare condizioni di solitudine e isolamento sociale. L’integrazione di strumenti di screening e valutazione precoce all’interno del percorso di presa in carico può aiutare a riconoscere situazioni di vulnerabilità, anche quando non esplicitamente espresse.
Va però ribadito, come già sottolineato in precedenza, che la solitudine è un’esperienza profondamente soggettiva, che assume forme diverse da persona a persona. Non esiste, quindi, un’unica risposta o un modello di intervento valido per tutti. Ogni azione – che sia individuale o di gruppo – deve essere pensata su misura, calibrata sulle caratteristiche della persona, sulla sua storia, sul contesto in cui vive e sulla rete relazionale di cui dispone. Solo adottando questo approccio personalizzato è possibile costruire interventi davvero efficaci, capaci di generare connessioni autentiche e durature.