Il ruolo delle emozioni nello sviluppo dei bambini

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Il futuro dei bambini dipende dalla storia, dalle esperienze e dalle relazioni che hanno vissuto i genitori e dalla qualità delle relazioni con le figure primarie. La nostra mente e il nostro corpo elaborano le informazioni che provengono dalle nostre relazioni e dall’ambiente che ci circonda. Alla nascita il cervello del bambino è un cervello incompleto, costituito da un primitivo sistema limbico controllato dall’amigdala, che valuta le informazioni esterne per modulare il sistema nervoso autonomo, il sistema di vigilanza e il sistema vegetativo.

Le esperienze e le emozioni

Il legame di attaccamento, come teorizzato da John Bowlby, si sviluppa grazie ai primi scambi fra la figura di riferimento e il bambino. La spinta all’attaccamento non è, come sosteneva la psicoanalisi, data dal nutrimento e dalla spinta alla sopravvivenza, ma dalle emozioni e dal riconoscimento delle stesse. È nell’interazione madre-bambino che saranno poste le fondamenta della regolazione dei sistemi fisiologici (respiro, ritmo cardiaco, ecc.). Dalla lettura “fisica” degli eventi (sorrisi, coccole, tono di voce) si determineranno le basi su cui si svilupperanno le parti più avanzate del cervello, che comunemente chiamiamo emozioni. Quando viviamo emozioni negative come rabbia, paura, vergogna, queste informazioni alterano i processi di manutenzione, riparazione e rigenerazione dei sistemi biologici, creando configurazioni di funzionamento necessarie per gestire lo stress fatto da tensioni, pensieri e sentimenti negativi. Vivere, al contrario, esperienze positive genera un ciclo virtuoso che potenzia il nostro sistema immunitario, regola la riparazione cellulare e ottimizza il funzionamento mentale. Questo significa che le esperienze che intenzionalmente decidiamo di vivere possono modulare il nostro DNA in senso positivo oppure dannoso, decretando la direzione della salute mentale e fisica in senso positivo o negativo. Successivamente con lo sviluppo dell’emisfero destro verrà memorizzato un “modello operativo interno”, che determinerà le strategie di regolazione dello stress.

Le emozioni, la fiducia in se stessi e nel mondo

Purtroppo per generazioni gli esseri umani sono cresciuti nella paura (guerre, carestie, crisi economiche) e questo ha portato le persone a tramandare insegnamenti di sfiducia nei confronti delle altre persone, sentimenti di invidia insieme a gravi difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni o nel poter chiedere aiuto agli altri. Molte persone sono cresciute con frasi tipo “non ti allontanare che ti rapiscono”, “dormi o arriva l’uomo nero”, “se ti comporti male, mamma si ammala e piange”, “sei un pasticcione, non sai fare nulla”, “se non mangi, non ti voglio più bene”, “solo i deboli piangono”, “se fai i capricci niente gelato” ecc. Queste frasi innestano nella mente processi volti ad amplificare la paura, sfiducia negli adulti, sensi di colpa, ipercritica, bassa autostima, la repressione delle emozioni attraverso processi di invalidazione o di punizione. Questi insegnamenti, impressi in un cervello in formazione, porteranno alla formazione di comportamenti alterati nella lettura di sé e del mondo, rendendo incapace il bambino di comprendere cosa sta accadendo intorno a lui. Nei primi anni di vita, infatti, le esperienze del bambino sono quasi esclusivamente di tipo emotivo perché il sistema percettivo è ancora immaturo. L’insicurezza generata da un cattivo uso delle emozioni da parte dei genitori produrrà quindi ansia, paura e timori. Al contrario, se il bambino si sentirà in una relazione calda, accogliente e non giudicante, il genitore costituirà una vera “base sicura” da cui poter partire per esplorare il mondo esterno e i comportamenti sociali.

Le figure di attaccamento

Insieme a questo aspetto non è da trascurare l’enorme responsabilità delle figure di attaccamento “secondarie” (padri, nonni, insegnanti, allenatori), che stabiliranno le memorie delle esperienze alla base dei modelli che il bambino avrà di sé e degli altri. È necessario, quindi, investire non solo in salute mentale e in supporti psicologici, ma anche in una diffusa cultura neurobiologica delle relazioni umane. Come diceva Frederick Douglass “è più facile crescere bambini felici che riparare adulti rotti”.

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