Un cuore matto

di Rosalinda Leo

In condizioni fisiologiche, il ritmo del nostro cuore è controllato da un sistema elettrico naturale in grado di generare un battito perfettamente regolare, proprio come quello di un orologio.

Può capitare, tuttavia, che questo meccanismo perfetto si inceppi: il cuore perde il ritmo e inizia a battere in modo irregolare. Proviamo a immaginare un’orchestra: se il direttore svolge il proprio ruolo e la coordina, l’orchestra segue il ritmo giusto e genera una sinfonia armonia ma se il direttore, ormai anziano, va in pensione e non viene sostituito l’orchestra non suona più a tempo.

Questo paragone spiega in modo semplice cosa succede a un cuore in stato di fibrillazione atriale. Vediamo meglio di cosa si tratta.

Quando il battito cardiaco diventa irregolare, spesso accelerato, si parla di aritmia e una delle aritmie più frequenti, che interessa circa l’1-2% della popolazione, è proprio la fibrillazione atriale (FA); la probabilità di sviluppare questa condizione aumenta con l’avanzare dell’età anche se, in alcuni casi, può manifestarsi in soggetti sani e giovani. 

Cosa accade esattamente all’interno del cuore? 

A ogni battito corrisponde un impulso elettrico che, come una scossa, attraversa l’atrio destro e poi quello sinistro; l’impulso contrae gli atri, le camere superiori del cuore, che pompano il sangue nei ventricoli sottostanti i quali, a loro volta, lo spingono verso l’esterno. Nei pazienti affetti da FA, l’impulso è senza controllo, dunque si propaga negli atri in modo veloce e disorganizzato facendoli fibrillare: il battito cardiaco accelera, è irregolare, e gli atri non si contraggono più correttamente.

Fattori di rischio e sintomatologia

Il primo fattore di rischio è l’età, specie se si soffre di ipertensione arteriosa. Altri fattori predisponenti sono: presenza di malattie cardiache (infarto, insufficienza cardiaca),  sovrappeso, fumo, malattie extra cardiache (polmonari, tiroidee), abuso di alcol e familiarità.

I soggetti con fibrillazione atriale presentano come sintomi principali:

  • tachicardia;
  • fastidio e dolore al torace; 
  • debolezza;
  • affanno;
  • sensazione di “testa vuota”;
  • svenimento.

I pazienti spesso descrivono la FA così: “Ho la sensazione che mi stia uscendo il cuore dal petto” oppure: “Sento il cuore che sfarfalla”, o ancora: “Il cuore mi batte forte come se avessi appena fatto una maratona anche se sono fermo in poltrona”. Altri, al contrario, non accusano alcun sintomo e scoprono di soffrire di fibrillazione atriale durante una visita medica di routine.

Tipologie di fibrillazione atriale

Esistono tre forme di FA: 

  1. parossistica; 
  2. persistente; 
  3. persistente di lunga durata o permanente.

Le tre forme si differenziano per durata e frequenza degli episodi. 

Nella FA parossistica i sintomi possono durare da pochi minuti a diversi giorni; il fenomeno ha un inizio e una fine ben precisi e tende a risolversi spontaneamente. Se la durata supera una settimana, la fibrillazione atriale viene definita persistente e richiede il trattamento con farmaci o tramite intervento chirurgico. Invece, nella FA permanente i sintomi persistono per più di un anno e non rispondono ai trattamenti farmacologici né a quelli chirurgici.

ESAMI

Prima di tutto, in caso di episodi di battito irregolare, è necessario consultare un cardiologo che inviterà a effettuare una serie di accertamenti. Il principale esame, utile a tenere sotto controllo la FA, è l’elettrocardiogramma. Se la fibrillazione atriale si manifesta a intervalli intermittenti e di durata breve è necessario ricorrere a sistemi di registrazione come l’Holter cardiaco, che monitora monitora la frequenza cardiaca per 24 o 48 ore, oppure ai loop recorder, piccoli monitor impiantati sottocute, dotati di una batteria che dura fino a quattro anni.

La fibrillazione atriale non deve, in ogni caso, essere sottovalutata: il malfunzionamento degli atri, infatti, favorisce il ristagno di sangue, che può coagulare e portare alla formazione di trombi; se i trombi entrano nel circolo sanguigno possono avere conseguenze gravissime, anche fatali. Inoltre, i ventricoli dei pazienti con FA non sono in grado di pompare una quantità sufficiente di sangue, pertanto potrebbe svilupparsi uno scompenso cardiaco.

TERAPIA

I principali obiettivi di una terapia per FA sono: 

  • alleviare i sintomi;
  • prevenire la formazione di trombi;
  • controllare la frequenza cardiaca in modo che i ventricoli abbiano il tempo di riempirsi di sangue;
  • ripristinare il ritmo cardiaco. 

Nello specifico, esistono farmaci antiaritmici capaci di ripristinare il normale ritmo cardiaco: alcuni di questi sono la flecainide, il propafenone, l’amiodarone; altri medicinali agiscono rallentando la frequenza cardiaca, per esempio i beta-bloccanti, i calcio-antagonisti e la digossina.

Un ulteriore terapia farmacologica è rappresentata dagli anticoagulanti, che agiscono sulla fluidità del sangue evitando la formazione di coaguli. Gli anticoagulanti che si utilizzano nei pazienti con FA sono di due tipologie, Cumarinici e NAO, Nuovi Anticoagulanti Orali. 

I primi, il cui nome deriva della cumarina (un composto organico naturale), agiscono riducendo la disponibilità di vitamina K, indispensabile per la produzione di alcuni fattori della coagulazione. La loro azione varia in base all’individuo e alla dose assunta, pertanto occorre monitorare periodicamente (1-2 volte al mese) il valore dell’INR (tempo di protrombina). Tale monitoraggio non è invece necessario in caso di terapia con i NAO: questi farmaci, infatti, non utilizzano la vitamina k come target, ma agiscono su fattori della coagulazione, inibendo e bloccando la formazione del coagulo. 

Questa tipologia di medicinali (ndabigatran, apixaban, rivaroxaban e endoxaban), somministrati a dosaggio fisso una o due volte al giorno, sono molto più versatili  dei Cumarinici e oltre a presentare meno interazioni con cibo e farmaci. 

Se la fibrillazione atriale resiste alle terapie farmacologiche, si può optare per altre possibilità terapeutiche. La prima è la cardioversione elettrica, che consiste nell’applicazione transtoracica di corrente continua sincronizzata con l’attività elettrica del cuore; quindi si cerca con delle scosse elettriche di resettare il ritmo cardiaco, per farlo ripartire in maniera regolare. Questa procedura viene effettuata in ambito ospedaliero attraverso piastre specifiche che vengono applicate sul torace, una davanti e l’altra dietro, quindi collegate a un defibrillatore esterno attraverso un cavo. I candidati a questo tipo di intervento sono i pazienti con fibrillazione persistente e per i quali il trattamento farmacologico non è sufficiente, i pazienti con frequenza cardiaca particolarmente elevata e sintomi gravi oppure quelli in trattamento cronico con farmaci antiaritmici.

Un’ulteriore risorsa terapeutica, che risulta fondamentale in pazienti con gravi alterazioni del ritmo cardiaco, è l’ablazione cardiaca transcatetere: l’elettricista del cuore, ovvero ll’elettrofisiologo (cardiologo specializzato in elettrofisiologia), inserisce un particolare tipo di catetere attraverso la vena femorale, fino a raggiungere il cuore. Questo catetere è dotato di una serie di elettrodi, che individuano la zona del cuore soggetta ad anomalie, e di un ablatore, che distrugge attraverso radiofrequenza, laser o bassa temperatura il tessuto responsabile del disturbo.

PREVENZIONE

La prevenzione è principalmente legata a uno stile di vita sano. Per tale ragione è importante non sottovalutare l’ipertensione, seguire una corretta alimentazione, varia ed equilibrata, praticare regolare attività fisica adeguata, non fumare e imparare a gestire stress fisici, lavorativi ed emotivi. Sicuramente non è possibile risolvere un disturbo del ritmo cardiaco senza rivolgersi a un medico; tuttavia, la consapevolezza dei propri sintomi e della propria condizione ci permetterà di proteggere il nostro cuore a lungo termine.