I farmaci a RNA

di Ana Berberi

La pandemia di COVID-19 ha contribuito a portare sotto i riflettori l’acido ribonucleico (RNA) e il suo potenziale terapeutico, anche se la storia di questa molecola ha radici molto più antiche.

La ricerca iniziò nel 1953, anno in cui venne scoperta la struttura del Dna (acido desossiribonucleico) e il suo meccanismo di replicazione da parte dello scienziato americano J. Watson e del biologo inglese F. Crick, e proseguì negli anni ‘60 con gli studi sulla molecola dell’RNA messaggero (mRNA). Nei decenni successivi la biologia dell’RNA si affermò gradualmente e tra gli anni ‘90 e 2000 vennero scoperte nuove varietà di molecole di RNA, come gli oligonucleotidi antisenso (ASO), piccoli RNA interferenti (siRNA), e gli aptameri, acidi nucleici capaci di legarsi a una molecola o a una proteina.

In natura, l’RNA si trova più frequentemente come un singolo filamento, peculiarità che lo rende facilmente degradabile, e ricopre un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dell’essere umano, in quanto è indispensabile per la sintesi delle proteine. Il suo compito è quello di copiare le informazioni contenute nei geni e portare ai meccanismi cellulari lo schema per produrre una specifica proteina. Una sequenza sintetica di mRNA può essere trasformata in un farmaco in grado di indurre l’organismo a produrre la proteina desiderata.

Negli anni 2000, alcuni farmaci a RNA vennero approvati in diversi Paesi del mondo, ad esempio per il trattamento dell’ipercolesterolemia familiare e dell’atrofia muscolare spinale ma, nonostante ciò, la ricerca e lo sviluppo di questi farmaci venivano considerati ancora troppo costosi dalle grandi aziende farmaceutiche. Qualcosa si è poi mosso negli anni a venire: nel 2008, BioNtech sviluppò e testò nell’uomo un vaccino sperimentale per il melanoma e Moderna elaborò un vaccino a mRNA per tumori solidi.

Arriviamo quindi alla storia recente, era marzo del 2020 quando l’attenzione del mondo interno e soprattutto della comunità scientifica venne completamente catturata dal SARS-CoV-2. Grazie all’enorme investimento pubblico e privato, appena sette mesi dopo, a dicembre del 2020, al culmine della pandemia di COVID-19 e dopo 60 anni dalla scoperta, le agenzie del farmaco nel mondo approvarono il primo vaccino a mRNA.

La pandemia ha evidenziato l’importanza della scienza, soprattutto in tempi di emergenza, costringendo enti pubblici e privati a imparare che i futuri investimenti nella ricerca e nelle biotecnologie sono necessari per far progredire e migliorare la nostra vita. 

La ricerca sull’RNA ha un grandissimo potenziale per lo sviluppo di farmaci, in particolare per le malattie rare: non svilupparlo significa rendere più incerto il nostro futuro.